Le criticità del controllo della parità salariale

Dal 1° luglio 2020 alcune imprese pubbliche e private dovranno effettuare un'analisi dei salari in base alla modifica della Legge sulla parità (LPar): una modifica purtroppo molto deludente.

di Michela Bovolenta, segretaria sindacale VPOD CH

Dovremmo essere contente: è da molto tempo che reclamiamo un controllo della parità salariale affinché sia applicato correttamente il principio costituzionale (adottato il 14 giugno 1981), che esige “un egual salario per un lavoro di pari valore”. Eppure la modifica della LPar è stata una doccia fredda e anche una delle ragioni che ci hanno spinte ad indire lo sciopero delle donne del 14 giugno 2019.

NESSUNA SANZIONE
L'obbligo di analizzare i salari inizialmente era previsto per tutte le imprese con più di 50 dipendenti: alla fine si applicherà solamente a quelle con più di 100 dipendenti, ossia solamente lo 0,9% delle imprese e il 46% del personale. Le imprese avranno un anno di tempo per condurre un'analisi salariale, che dovranno poi far verificare da una società di revisione certificata o da un'organizzazione sindacale. Le aziende avranno poi un anno supplementare per informare le/i dipendenti. La legge non prevede alcun obbligo di correggere eventuali discriminazioni, né alcuna sanzione. Evidentemente si tratta di una revisione molto “soft”.

LONTANE DAL TRAGUARDO
Non è certo con queste disposizioni che verrà concretizzato il principio costituzionale di un salario uguale per un lavoro di eguale valore. Il gruppo di lavoro che ha gettato le basi della LPar nel 1988 non ha sbagliato scrivendo che "le discriminazioni salariali contro le donne sono il risultato di tutte le penalizzazioni ed ostacoli che queste incontrano sul mercato del lavoro (...). Per ottenere una vera parità salariale non bastano provvedimenti in ambito salariale, ma bisogna anche perseguire una politica globale per le pari opportunità, che tenga conto dei diversi aspetti dell'attività professionale, delle sue condizioni generali e della sua organizzazione. Bisogna tener presente che, prima di entrare nel mondo del lavoro e durante la loro attività professionale (si pensi agli obblighi familiari e al volontariato), le donne e gli uomini vivono spesso in condizioni differenti”[1]. È l’esatto contrario di quanto previsto dalla presente modifica di legge.

CIRCOLO VIZIOSO
Invece di prevedere misure per raggiungere concretamente l'uguaglianza nei fatti, il legislatore si è accontentato di ridurre le disuguaglianze salariali settorialmente. In primo luogo perché la parità salariale può essere verificata solo all'interno della stessa azienda. Dato che, come sappiamo, donne e uomini non svolgono le stesse professioni, né lavorano negli stessi settori, questa limitazione è già di per sé inaccettabile. In secondo luogo lo strumento di analisi utilizzato, il Logib, misura solamente la cosiddetta “discriminazione inspiegabile": si tratta di un concetto molto problematico. Logib è stato sviluppato sulla base di cinque fattori suscettibili di spiegare obiettivamente le differenze salariali. Tre di questi sono legati all'individuo: formazione, anni di servizio ed esperienza professionale potenziale. Due fattori sono legati al posto di lavoro: livello di competenze e posizione professionale. In realtà sia i percorsi formativi, sia le competenze richieste nelle professioni a predominanza femminile sono meno valorizzati di quelli delle professioni tipicamente maschili. Non stupisce che, facendo questo ragionamento circolare, il Logib riesce a "spiegare" in media il 57% delle disuguaglianze tra uomo e donna.

TOLLERANZA INSPIEGABILE
Si potrebbe dire che correggere circa il 40% del divario salariale rappresenta pur sempre un inizio. Ma si dimentica che vi è ancora da fare i conti con un margine di tolleranza del 5%, che è stato introdotto nonostante le proteste dei sindacati. Il risultato è desolante. Prendiamo un esempio2 dato in un corso Movendo: un'azienda con una differenza salariale iniziale tra donne e uomini del 16,8% viene analizzata e risulta avere un’ "inspiegabile discriminazione salariale in base al genere" pari al 7,7%. Una volta dedotta la soglia di tolleranza del 5%, rimane una differenza del 2,7% ... la quale non è statisticamente significativa. Di conseguenza, il datore di lavoro in questione potrà affermare di rispettare la parità salariale e potrà tranquillamente continuare a sfruttare il lavoro delle donne!

ANDARE OLTRE IL MINIMO NEGLI ENTI PUBBLICI E SUSSIDIATI
Nonostante tutti i limiti della LPar il principio del controllo della parità salariale rimane una priorità sindacale. Ove possibile, bisognerà cercare di andare oltre il minimo legale. Infatti gli stessi esperti avvertono che lo strumento standard della Confederazione per l'analisi della parità salariale, il Logib, mette in evidenza la discriminazione sistematica tra l’insieme degli uomini e l’insieme delle donne in una determinata impresa. L'assenza di discriminazione in base al Logib non significa quindi che non vi sia alcuna discriminazione a livello individuale o di determinati gruppi di dipendenti.

Pure i datori di lavoro pubblici sono soggetti alla LPar. Essi devono quindi effettuare un controllo dei salari anche nel caso lo abbiano già svolto. L'analisi deve essere svolta tra il 1° luglio 2020 e il 30 giugno 2021. I Cantoni sono responsabili dell'attuazione, in particolare per il settore sussidiato. Mentre i datori di lavoro privati sono tenuti ad informare unicamente sul risultato finale del controllo salariale, quelli del settore pubblico dovranno fornire informazioni più dettagliate. Laddove ci sono delle relazioni sindacali con i datori di lavoro, come sindacato potremo chiedere di più del minimo previsto dalla LPar: l'attuazione di una parità salariale che non consideri la tolleranza del 5%, l'istituzione di un piano d'azione per una parità generale, la trasparenza nella valutazione delle funzioni, ecc. Per saperne di più, vedi il dossier sul nostro sito www.ssp-vpod.ch.