Il silenzio regna ancora sulle molestie

Sui social, le testimonianze di persone molestate sessualmente esplodono. Ma sui posti di lavoro, il tema rimane tabù e i molestatori sono troppo spesso protetti. Abbiamo intervistato Véronique Ducret, psicologa sociale, militante femminista e cofondatrice del comitato contro le molestie sessuali a Ginevra.

A partire da quando possiamo parlare di molestia sessuale?
V.D
– La legge sull’uguaglianza definisce la molestia sessuale come un comportamento discriminatorio, inopportuno e a connotazione sessuale, che ferisce la dignità di una persona. Questo può manifestarsi in diverse forme: fisica, verbale o non verbale. Questo non ha niente a che vedere con un flirt: il molestatore impone i propri atti alla sua vittima, senza preoccuparsi del suo consenso. Questo fenomeno tocca soprattutto le donne, ma può anche concernere uomini.

Quali sono le conseguenze?
V.D
– Sono molto gravi. La persona che subisce molestie prima di tutto si isolerà o verrà isolata nel posto di lavoro : è una strategia di chi fa le molestie, per evitare che i colleghi siano solidali con la vittima. Quest’ultima è colpita sia nella sua salute mentale e fisica. La sequenza è sovente questa: perdita di fiducia in sé stessi, depressione, interruzione lunga del lavoro, ritorno difficile alla vita attiva: è frequente che la persona venga licenziata alla fine del periodo di protezione legale ; e, se non viene licenziata, la vittima non vuole più incontrare il molestatore al lavoro.

Quanto è grande il fenomeno in Svizzera?
V.D
– Secondo uno studio realizzato nel 2008, 28% delle donne interrogate si lamentavano di molestie sessuali contro il 10% degli uomini. Le molestie esistono in ogni settore. Se i casi di molestie tra colleghi sono i più frequenti statisticamente, le conseguenze sono ben più gravi quando questo comportamento è imposto da un superiore gerarchico, contro il quale è più difficile difendersi.

Come reagiscono i datori di lavoro?
V.D – Legalmente, le imprese sono obbligate a prevenire e far cessare le molestie, ma vi è un fossato tra teoria e pratica. Poche società agiscono in modo coerente. È molto raro che le imprese licenzino un molestatore – quasi mai se si tratta di un dirigente. Nel mondo del lavoro regna la legge del silenzio: i molestatori sono protetti per anni, anche se la realtà è conosciuta da tutti.

Le vittime fanno molta fatica a farsi sentire…
V.D
– La maggior parte cercano di parlarne, cercano aiuto, ma si scontrano a grossi ostacoli quali per esempio la paura di perdere il posto di lavoro. Questo rischio reale spiega come nel 99% dei casi le donne denunciano il molestatore solamente dopo aver perso il loro impiego. Inoltre le vittime mancano spesso di alleati e di sostegno sul posto di lavoro. Infine, la loro parola è spesso messa in dubbio e quest’assenza di fiducia è vissuta come una seconda aggressione. Certe persone subiscono molestie durante degli anni : non riconoscere le molestie è una conseguenza del sessismo ordinario, completamente banalizzato nella nostra società, che prepara il terreno per ulteriori atti.

Che ne è della giustizia?
V.D
– 83% delle persone che hanno sporto denuncia per molestia sessuale perdono davanti ai tribunali. Nel sistema giudiziario la parola delle vittime è spesso messa in dubbio. Invece di cercare di stabilire i fatti, si cercano le motivazioni che hanno spinto a svelarli, senza contare che spesso una persona che denuncia le molestie subite si trova frequentemente accusata di diffamazione o calunnia.

Quali consigli dare a una persona vittima di molestia?
V.D
– È fondamentale uscire dalla solitudine e cercare alleati sul posto di lavoro e nella propria cerchia che possano ascoltare e sostenervi. Tenere degli appunti sarà molto utile. Bisognerà inoltre informarsi sull’esistenza di un regolamento aziendale che vieti tali comportamenti e la procedura da seguire. Una vittima di molestie cede prima o poi, subendo gravi danni alla sua salute. Bisogna quindi reagire il più rapidamente possibile, parlare con i propri superiori ed esigere la fine di questa situazione. Non bisogna esitare a rivolgersi al sindacato per sostenere questa pratica. Ci si può ugualmente rivolgere all’ispettorato cantonale del lavoro ed esiste anche un sito internet, attraverso il quale si possono porre domande in modo anonimo :www.non-c-non.ch.

I fatti recenti hanno davvero smantellato il segreto attorno alle molestie sessuali?
V.D
– La recente ondata di testimonianze a seguito dell’affare Weinstein è importante, ma queste si riferiscono per la maggior parte a situazioni passate e si tratta raramente di donne che subiscono oggi molestie sul posto di lavoro. Questo è il problema: nella pratica, non cambia niente. Fintanto che non vi sarà una concreta volontà di far cambiare le cose, una persona rifletterà bene prima di denunciare il proprio calvario e saranno quindi sempre le vittime a pagare. Per cambiare le cose, sarebbe necessario andare oltre ai social, e costituire un vero movimento sociale, e grosse mobilitazioni. Il sindacato ha qui un ruolo importante, in quanto potrebbe sostenere la creazione di comitati e uffici sindacali contro le molestie nelle imprese, le quali diventerebbero dei riferimenti per le vittime. È importante che queste sappiano che il sindacato è un luogo di sostegno e d’azione, anche su queste questioni.

Bisognerebbe inoltre discutere alcuni cambiamenti legislativi. Prima di tutto, occorre una vera protezione contro il licenziamento delle donne vittime di molestie e per il loro reintegro. La legge sull’uguaglianza prevede la possibilità d’annullare il licenziamento per ritorsioni quando una persona sporge denuncia per discriminazione. Ma questa possibilità è raramente utilizzata dalle donne, che temono rappresaglie sul posto di lavoro. Inoltre, oggi le vittime di molestie sessuali devono provare il torto subito, mentre bisognerebbe però invertire le cose e vedere se il molestatore si è preoccupato che la vittima fosse consenziente. Tutte queste questioni dovrebbero essere discusse da un gruppo di lavoro composto da femministe, sindacalisti, giuristi e militanti.

Vogliamo protezioni legali concrete!

di Michela Bovolenta, segretaria VPOD CH

È tempo di trasformare i discorsi in azioni! Qualche anno aveva fatto scandalo l’aggressione a una cameriera da parte di Strauss-Kahn, candidato all’elezione presidenziale francese. Ora il caso Weinstein ha suscitato un’ondata d’indignazione e ha permesso, secondo i media, di dare la parola alle donne.

Parlare di un atto di violenza sessuale è necessario e salutare, ma non è purtroppo sufficiente.

Infatti, se le donne parlano con sincerità e coraggio, la reazione del mondo politico e istituzionale sa d’ipocrisia. Ogni nuovo «scandalo» genera discorsi politicamente corretti, che condannano le molestie, la violenza e il sessismo. Eppure, quando la molestia ha luogo in una scuola, un’impresa, un’amministrazione, la vittima si trova prigioniera di un meccanismo quasi immutabile: tutti sapevano, ma nessuno ne è al corrente; anche se sarebbe il molestatore che dovrebbe morire di vergogna, è la vittima che crolla sotto il senso di colpa, perché la gerarchia protegge di fatto il molestatore a scapito della persona molestata! E quando, raramente, la vittima arriva fino al tribunale, la sua istanza viene respinta quattro volte su cinque!

È questo che deve indignarci: quest’assenza di un vero dispositivo preventivo/ di lotta contro le molestie sessuali, così come la perseveranza di un sessismo ordinario, che crea la base per le molestie e la violenza contro le donne. Al posto dei bei discorsi, è urgente esigere un dispositivo legale e giudiziario previdente, o come minimo la creazione di gruppi di fiducia neutri, l'inversione dell'onere della prova e il rafforzamento della protezione delle lavoratrici contro ritorsioni varie e licenziamenti.

Eppure, tutto questo non basta senza il rispetto nell’uguaglianza. Per imporre il rispetto, la sola via è la mobilitazione delle donne, fino al giorno in cui l’insieme dei problemi a livello individuale si trasformerà in collera collettiva!