Da dove nasce la speranza di poter tacere? Dal fatto che lunedì potrebbe accadere quello che non è accaduto lungo tutti questi mesi, dal maggio scorso, in cui ci è stata presentata la proposta di nuova griglia, nel periodo meno adatto a una vera consultazione, e con una fretta di chiudere il discorso che avrebbe impedito di discutere davvero e con calma la questione all’interno di uno o più collegi. Non è accaduto allora, non è accaduto qualche tempo dopo, durante le riunioni dei gruppi di materia, non è accaduto nel Collegio di agosto, in cui si è parlato della nuova griglia, ma potrebbe accadere oggi. Cosa? Un’ammissione di errore. I direttori SMS, e oggi il direttore dell’UIMS, potrebbero dire: «è vero, abbiamo sottovalutato le implicazioni di ciò che stavamo facendo. Ci siamo lasciati prendere dalla fretta, dal timore che aprire un anno fa un dibattito tra tutti i colleghi avrebbe prodotto una grande confusione; e per questo abbiamo scelto di elaborare quasi in segreto un progetto. Poi i tempi si sono allungati, il progetto è stato presentato solo a maggio, la consultazione è quindi stata ingabbiata in tempi brevissimi, e così via. Non abbiamo pensato, o pensato fino in fondo, che una simile modalità operativa andava contro un principio fondamentale della SMS ticinese degli ultimi decenni, quello della concertazione e della partecipazione. Ci scusiamo di questo e vi preghiamo di capire».
Ma se leggerò questo testo vorrà dire che parole di questo genere non saranno state pronunciate neppure in questo collegio dicembrino, ultima occasione per pronunciarle, e che invece si sarà andati avanti sulla linea di condotta che conosciamo, tutt’al più manifestando qualche irritazione per le ingiuste critiche, o persino, come è già stato fatto, cercando di liquidarle velocemente. E dunque la domanda è: perché nessun direttore ha pensato di dire qualcosa del genere? Non voglio neppure pensare a ragioni soggettive, di natura caratteriale o psicologica; mi interessano invece le ragioni politiche e culturali di questa contrapposizione. E purtroppo tali ragioni non mi sembrano rallegranti: in sostanza, io credo che ciò che sto dicendo, e la logica politico-culturale sottesa al mio discorso (e a quello di chi prima di me è intervenuto in questo senso, nei Collegi o pubblicamente, a titolo personale o a nome di un’associazione magistrale), risulti quasi incomprensibile a chi oggi ha la responsabilità della gestione scolastica, e forse anche a una parte dei colleghi più giovani.
La logica a cui faccio riferimento è nata più o meno 45 anni fa, quando un Consigliere di Stato, che allora dirigeva il Dipartimento della scuola, esasperato dalle polemiche e dalle contestazioni studentesche, batté con il pugno sul tavolo, sbottando in una celebre e infelice battuta: «Adesso basta con questo Liceo», e inviando il giorno dopo quaranta o cinquanta poliziotti in tenuta antisommossa nel palazzo dove ora ci troviamo, e dove io allora ero uno studente. Dalla temperie di quegli anni, e forse anche da quel grossolano errore politico, discesero poi parecchie cose; e tra queste l’esperienza della cosiddetta Direzione collegiale, che durò circa un decennio. Il direttore veniva eletto a rotazione dal Collegio dei Docenti, e ne era prima di tutto il rappresentante; e se ben presto questa esperienza abbastanza straordinaria venne interrotta di forza dal Consiglio di Stato, e i direttori tornarono a essere di nomina dipartimentale e politica, qualcosa di quell’esperienza sopravvisse a lungo, giungendo fino a noi. L’idea cioè che il luogo fondamentale per la discussione, la progettazione e la decisione circa la politica scolastica dovesse essere il Collegio dei Docenti di ogni Istituto; e che, sia pure in mezzo a mille imperfezioni, approssimazioni e contraddizioni, le decisioni più importanti dovessero partire da una discussione collegiale, di cui i Direttori si sarebbero poi fatti interpreti e sostenitori: se necessario scontrandosi con le proposte dipartimentali, nel limite del possibile.
Nessuno oggi ha picchiato nessun pugno su nessun tavolo, e non è stato necessario allarmare i corpi speciali della polizia. Ma di fatto, io temo che il modo di procedere scelto e cocciutamente difeso dalle autorità dipartimentali e dal Collegio dei Direttori per affrontare la questione della nuova griglia liceale abbia definitivamente chiuso un’epoca e un modo di considerare la gestione della scuola. Personalmente, non condivido affatto questo nuovo corso della politica scolastica e guardo con preoccupazione alle sue conseguenze future. Sapranno i Collegi dei docenti rivendicare la loro centralità, oppure si appiattiranno in un progressivo silenzio rassegnato? La scuola continuerà ad essere un luogo di dibattito e di sperimentazione, o si lascerà trascinare verso una gestione sempre più verticistica e aziendale? I prossimi anni risponderanno a questi interrogativi, che oggi mi inquietano.
La mia critica, lo si sarà inteso facilmente, è diretta principalmente al Collegio dei Direttori. Quanto al Dipartimento e alle sue Divisioni, pensavo che i difficilissimi anni appena trascorsi, e soprattutto la massacrante discussione sull’abortita Scuola che verrà, avrebbero messo in guardia dal presentare di nuovo progetti calati dall’alto, nati in qualche ufficio senza una preventiva discussione di base e per questo facilmente criticabili, in buona e cattiva fede. Così non è stato, evidentemente. Ma, come si suol dire, viviamo in democrazia, e ognuno è libero di farsi del male come meglio crede.
di Fabio Pusterla, docente Liceo Lugano 1