Trent’anni di parità: una promessa disattesa

Da: Giulia Petralli, sindacalista VPOD Ticino

Il 24 marzo 1995 la Svizzera ha adottato la Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), un passo che avrebbe dovuto segnare una svolta storica. Entrata in vigore nel 1996, questa normativa si proponeva di eliminare ogni forma di discriminazione di genere nel mondo del lavoro. Eppure, a trent’anni di distanza, i risultati concreti appaiono ben lontani dalle promesse iniziali. La parità esiste sulla carta, ma nella realtà continua a essere un miraggio.

Trent’anni di parità: una promessa disattesa

Uno dei nodi più emblematici è ancora il divario salariale. Le donne in Svizzera guadagnano ancora in media il 16.2% (valore del 2022) in meno rispetto agli uomini e una parte di questa differenza non è giustificabile da fattori oggettivi come esperienza o ruolo. La persistenza di una cultura del segreto sui salari e l’assenza di misure vincolanti impediscono di affrontare realmente il problema. Emblematico è il rapporto di valutazione esterna sulla LPar, pubblicato il 7 marzo e commissionato dall’Ufficio federale di giustizia, che traccia un bilancio provvisorio allarmante dell’attuazione delle analisi sulla parità salariale nelle aziende svizzere.

A rendere il quadro ancora più allarmante è la questione della violenza e delle molestie sul lavoro. Nonostante la LPar vieti espressamente ogni forma di discriminazione e abuso, ancora molte donne continuano a subire soprusi senza la possibilità di ottenere giustizia. La paura di ripercussioni, l’ancora scarsità di strumenti di tutela efficaci e la cultura del silenzio rendono la legge poco più di un manifesto di buone intenzioni, privo di un impatto reale.

Anche la rappresentanza femminile nelle istituzioni e nei vertici aziendali rimane insoddisfacente. Nei ruoli decisionali chiave – nei governi cantonali, in quello federale, nei consigli di amministrazione, nelle direzioni delle grandi aziende – le donne continuano a essere una minoranza. Le quote di genere, spesso invocate come soluzione, non sono state adottate in modo sistematico e l’illusione che il mercato risolva spontaneamente queste disparità si è rivelata – prevedibilmente – fallace.

Infine, risulta problematica anche la persistente penalizzazione delle famiglie che desiderano conciliare lavoro e vita familiare. La Svizzera si distingue negativamente in Europa per l’assenza di un congedo parentale adeguato e per le lunghe liste d’attesa e il costo proibitivo dei servizi di cura per l’infanzia. Il risultato? Molte donne si vedono costrette a ridurre l’orario lavorativo o ad abbandonare il mercato del lavoro, subendo ripercussioni economiche a lungo termine e alimentando la loro dipendenza finanziaria.

Dopo trent’anni, è chiaro che la legge sulla parità, nella sua forma attuale, è insufficiente. Non basta vietare la discriminazione: servono misure stringenti, controlli effettivi e sanzioni esemplari. Senza un cambiamento strutturale, il rischio è che la Svizzera continui a celebrare un anniversario svuotato di significato, mentre la parità rimane, ancora una volta, una promessa disattesa.