Quanto avvenuto alla Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona non può non preoccupare ed interrogare la società tutta. I docenti vivono professionalmente in prima linea l’accrescimento del malessere tra le fasce giovanili. L’aumento dell’incertezza e del precariato nel mondo del lavoro, la crescente competitività e la sempre maggiore complessità sociale mettono in difficoltà gli individui e le famiglie: e mettono in difficoltà in particolare i giovani, che guardano con crescente scetticismo al loro futuro. La pandemia ha svolto il ruolo di catalizzatore ed evidenziatore delle fragilità, ma una società sana dovrebbe riuscire a trovare al suo interno le risorse per superare un periodo di crisi. Così non sembra essere: secondo gli specialisti, il problema essenziale è il venir meno del senso di appartenenza ad una collettività, con i diritti e i doveri propri ad ogni fascia d’età che questo impone, l’assenza di riferimenti solidi e duraturi nel tempo, la mancanza di fari che aiutino ad orientare scelte e comportamenti, la scemata assunzione di responsabilità individuali che portino benessere all’insieme.
In una collettività forte ogni individuo ha un ruolo che gli viene riconosciuto dagli altri membri, ogni professionista ha delle competenze specifiche che mette al servizio della comunità. Oggi questo sembra venir meno; i comportamenti sono sempre meno riconducibili all’età anagrafica e il parere dell’esperto è messo in dubbio da chi esperto non è, sminuito quando non apertamente deriso. Vale in ogni ambito e dunque anche in quello del mondo della formazione. Le pressioni sui docenti aumentano di anno in anno e si concentrano sempre più su quello che è l’aspetto più evidente del loro operato, ossia la valutazione. Le pressioni sui docenti per aumentare le note da parte di studenti e genitori si moltiplicano e, a volte, sfociano in parole e atti aggressivi quando non apertamente violenti. Al punto che alcuni docenti, figli del loro tempo, hanno abdicato a questa componente essenziale della loro professionalità elargendo regolarmente valutazioni positive a tutti i loro allievi.
Ad oggi la Scuola ha risposto cercando di curare i sintomi del male, creando figure professionali di riferimento al suo interno per aiutare studenti e docenti in difficoltà: giusto, ma parziale. Così come è giusto ma insufficiente provare a indagare e quantificare il fenomeno delle vessazioni e delle intimidazioni mettendo in atto procedure standard per reagirvi. Essendo però il male frutto della società, la soluzione deve essere sociale e potrebbe iniziare con il reciproco riconoscimento e rispetto tra le varie componenti della collettività, ognuna con i propri diritti ma pure con dei precisi doveri.