Presidio di protesta martedì 31 maggio, ore 18, Stazione FFS Bellinzona: NO all'aumento delle spese militari! NO all'avvicinamento alla NATO!

Da: Pino Sergi, per il gruppo promotore dell'appello

Prendendo pretesto dall’aggressione russa contro l’Ucraina, i partiti borghesi son partiti all’offensiva ed hanno ottenuto, in poco più di due mesi di guerra, quanto non osavano sperare fino al 24 febbraio: un aumento delle spese militari di due miliardi all’anno in modo da raggiungere «al minimo» l’1% del PIL. Così ha già deciso il Consiglio Nazionale, nei prossimi giorni la stessa mozione dovrebbe essere discussa dal Consiglio degli Stati. Così, nel 2030, le spese militari dovrebbero passare dagli attuali 5,3 miliardi – non dimentichiamo che nel 2015 queste raggiungevano i 4,3 miliardi – a 7,3 miliardi. Somme astronomiche che, tuttavia, non rappresentano ancora tutta la realtà dei costi della difesa nazionale in Svizzera.

Uno studio pubblicato nel settembre scorso dal think thank liberale Avenir Suisse ricorda che il suo costo reale, già oggi, tenuto conto dei costi indiretti e indotti, è dell’ordine di 8,2 miliardi, mentre un rapporto del DDPS dell’estate del 2012 indicava che questi costi «nascosti» aumentano del 25-30% il costo reale della difesa nazionale. Che ci costerà dunque più di 9 miliardi!

Mentre nella sala climatizzata del Consiglio nazionale la maggioranza borghese si offriva la garanzia di potere spendere e spandere, fuori, sulla piazza, la temperatura raggiungeva i 25 gradi: il 9 maggio!

Certo, quei 25 gradi restano meno impressionanti rispetto ai 47 registrati la scorsa settimana nel nord dell’India, meno impressionanti anche che il disgelo della Siberia con il rischio di liberazione di vecchi virus rimasti congelati per millenni.

Ma danno la misura delle vere sfide del momento, soprattutto quando un aumento della temperatura globale di più di 1,5 gradi potrebbe intervenire molto prima del previsto. E contro queste sfide, i soldi non li si trovano, come non si trovano quelli per rispondere ai bisogni sociali di una popolazione che subisce gli effetti indiretti ma tangibili della guerra, in particolar modo l’inflazione. Così come si trovano con difficoltà gli stanziamenti necessari per potersi preparare ad una nuova possibile quanto probabile ondata di COVID il prossimo autunno!

Sono le finanze pubbliche a subire un salasso di ampia portata sul quale già stanno allungando le mani le industrie, militari quanto civili, con promesse di cospicui dividendi per gli azionisti.

La celerità con la quale i partiti borghesi hanno imposto l’aumento delle spese militari dà la misura del furto in atto: è evidente che non è l’analisi di sole dieci settimane di guerra in Ucraina che può permettere di definire i bisogni di adattamento degli strumenti della difesa nazionale.

È ora di riprendere la mobilitazione contro tutto questo, contro lo sperpero di denaro pubblico, prima che ci impongano gli aerei da combattimento, l’aumento degli effettivi dell’esercito, la partecipazione alle missioni europee e l’adesione alla NATO: tutte decisioni che sicuramente ci verranno presentate come «misure preventive in difesa della patria». Le stesse parole impiegate, pochi giorni fa, sulla Piazza rossa, a Mosca.