Quanto attuale risuona oggi la riflessione di Olgiati, secondo cui “l’assetto della società moderna non permette altra alternativa se non quella fra economia programmata o economia caotica”: tanti sono infatti gli “inconvenienti” del disordinato sviluppo economico cantonale (se così si può chiamare), dalla deturpazione del territorio al dumping salariale, passando per l’indebolimento del substrato fiscale (sempre più costituito da realtà parassitarie e volatili, attirate da generose quanto immotivate politiche fiscali, e sempre meno da un tessuto economico sano e stabilmente impiantato nel territorio). Eppure, la maggioranza della classe politica cantonale sembra non voler fare i conti con questo stato di cose, facendo nuovamente ricorso a ricette economiche ormai largamente riconosciute come controproducenti: invece di ragionare sulla necessità di un consistente rilancio dell’intervento pubblico, tornano a risuonare le sirene del “meno Stato” e dell’austerità.
Il decreto approvato dal Gran Consiglio lo scorso ottobre su iniziativa di Sergio Morisoli, con cui si vuole ridimensionare la spesa pubblica e su cui il popolo ticinese è chiamato a votare il prossimo 15 maggio, rappresenta un chiaro freno a quella prospettiva quanto mai necessaria di un intervento statale programmatore ed equilibratore, lasciando invece libero spazio a quella “economia caotica” denunciata da Libero Olgiati sessanta anni orsono e alla retorica della ‘‘sussidiarietà’’ diventata ormai un cavallo di troia per smantellare il servizio pubblico. Tanto l’esperienza recente quanto le sfide del futuro impongono un profondo ripensamento del ruolo dello Stato: l’importanza assunta dall’intervento pubblico durante la pandemia, grazie al quale si è potuta evitare la catastrofe economica e sociale, dovrebbe aver ormai dimostrato la sua necessità e la sua adeguatezza anche di fronte ai crescenti bisogni sociali, alla crisi ambientale, all’invecchiamento della popolazione o alle difficoltà di approvvigionamento (energetico ma non solo) che stanno riguardando tutta l’Europa.
D’altronde, come ha recentemente rimarcato l’economista italiano Emiliano Brancaccio, “Keynes non basta, come non basta invocare un reddito: l’unica rivoluzione in grado di congiurare una catastrofe dei diritti risiede nel recupero e nel rilancio della più forte leva nella storia delle lotte politiche: la pianificazione collettiva”. Per poterci impegnare nella costruzione di questa alternativa politica e garantire i presupposti per uno Stato forte, occorre però prima di tutto respingere il progetto d’austerità di Morisoli e Pamini: votiamo dunque NO il prossimo 15 maggio al decreto concernente il pareggio dei conti dello Stato.