Se fosse già stata in vigore questa normativa, durante gli anni 2015-2019 avremmo dovuto votare 41 volte. I temi coinvolti sarebbero stati: il sostegno alle attività innovative; la politica economica regionale; l’impiego parsimonioso dell’energia; le piste ciclabili; il trasporto pubblico; il servizio ferroviario regionale; l’istituto di ricerca di biomedicina; l’ampliamento della Scuola cantonale di commercio; l’informatizzazione delle scuole cantonali; il festival internazionale del film...
In realtà, lo scopo primo dell’iniziativa risiede nel voler ridurre l’intervento dello Stato in campo sociale, sanitario, scolastico, culturale, di politica economica o regionale.
Una modica ideologica neo-liberale e meno-statista. Essa non riguarda infatti delle scelte fondamentali dello Stato, quali per esempio la legge sulla polizia oppure la privatizzazioni di servizi pubblici. Per queste decisioni, se contestate da parte di gruppi di cittadini, sarebbe sempre necessario procedere alla raccolta della firme. L’iniziativa in discussione vuole “solo” ridurre le spese.
Contrariamente a quanto affermato dai promotori e dalla maggioranza del parlamento, questa modifica illude la popolazione di poter ottenere più diritti democratici. In realtà non costituisce nessun miglioramento, bensì un inutile e pericoloso strumento che metterebbe a rischio gli interventi pubblici, nonché uno spreco di risorse. Anche il Consiglio di Stato, nel suo messaggio del 21 marzo 2018, non ritiene necessario un simile strumento.
L’Associazione per la difesa del servizio pubblico, per tutte queste ragioni ritiene che, quando avrà luogo la votazione popolare, questa iniziativa vada combattuto e respinta.
Per ulteriori informazioni:
Diego Scacchi, presidente, 091 743 39 66
Graziano Pestoni, segretario, 079 456 99 44