La pandemia Covid, a causa dell’isolamento forzato di chi ne soffre e deve beneficiare di cure d’urgenza, ha posto in risalto l’importanza, per pazienti e cittadini, di beneficiare di una vicinanza umana in termini di riconoscimento della sofferenza, quale esperienza da condividere, che è comune, necessaria e tipica del genere umano. Vicinanza che trova traduzione in empatia, accortezza, delicatezza, supporto emotivo, solidarietà, rispetto dei tempi e delle emozioni, rispetto per la paura della morte, per le ansie provate per chi resta a casa e per sé stessi. Anche e soprattutto questa è cura, ed è inscindibile dall’atto tecnico, che resta sottointeso, al quale spesso viene meramente ridotta da certo efficientismo di stampo manageriale e dall’eccesso di procedure standardizzate, queste spesso accompagnate da un notevole e ingombrante carico di burocrazia.
Curare necessita invece di tempo per la relazione e di un connubio di energia, dedizione, passione per il proprio lavoro, senso del sacrificio, professionalità, efficienza e amore nel senso più ampio del termine. Questo tempo viene sempre più negato ai professionisti in prima linea e non solo nel settore delle cure infermieristiche, bensì anche nel settore sociale e nelle scuole. In altre parole parliamo di riduzione delle risorse, sia istituzionali sia umane, risorse che non sono infinite e che dunque devono trovare un costante rinnovamento e equilibrio senza i quali la cura viene disumanizzata. La cura è “occuparsi” di tutta la persona e del contesto in cui vive, e non solo della malattia o del disagio.
Il rinnovamento passa attraverso l’interrogativo di che cosa sia necessario e vogliamo come società capace di prendersi cura di sé e di tutti quegli aspetti che sono specificatamente attitudini umane, dalla relazione in primis all’atto tecnico poi. Il valore della cura non si può misurare in termini finanziari e chiediamo alla politica di promuovere un settore della salute interamente non-profit. Non vogliamo che la sanità sia equiparata all’industria e al commercio. Non vogliamo che si persegui un guadagno e che si punti costantemente alla riduzione dei costi, in particolare a quelli del personale. Nel settore della salute quest’ultimo viene oggi messo sotto pressione al punto che la durata media della vita professionale di un infermiere si aggira tra i 7-8 anni. Il personale non viene messo in condizione di poter conciliare la cura dei figli con la cura professionale. Per dare cura agli altri occorre avere cura anche di sé stessi, e comprende promuovere ambienti di lavoro sani e che non logorino il personale. Abbiamo bisogno di cura a partire dai settori fondamentali della scuola, del sociale e della sanità, i quali possono promuovere benessere e senso di fiducia, e questa è una responsabilità politica di cui lo Stato deve farsi carico. Chiediamo istituzioni in grado di avere cura di sé, dall’educazione, alla formazione, alla salute, e che quindi vi si investa in modo deciso e continuativo.
Il 29 maggio si terrà una manifestazione di protesta e rivendicazione con lo scopo di sostenere quanto detto finora. Invito dunque tutto il personale al fronte nelle cure, nell’educazione e nella formazione (infermieri, medici, educatori, docenti, assistenti sociali) a parteciparvi. Facciamoci sentire e vedere tutti uniti, per una nuova dimensione della cura e dell’esistenza stessa.