Finché c’è speranza

Da: Graziano Pestoni, presidente Uss Ticino

Quasi un anno fa è scoppiata la pandemia provocata dal coronavirus. Per molti di noi fu una sorpresa. Molti esperti, soprattutto quelli dell’Oms, avevano però avvertito che una tale situazione era prevedibile: ciò sottintendeva che gli Stati avrebbero dovuto organizzarsi in modo da poter far fronte adeguatamente a tale avvenimento. Come sappiamo, ciò non fu il caso.

I piani per affrontare una pandemia esistevano, ma solo sulla carta. I letti negli ospedali erano insufficienti, le attrezzature e il personale pure. Mancavano anche le mascherine e, per camuffare la situazione, per un po’, dissero che non servivano. Assai forte fu lo spavento. Tanto che, la scorsa primavera, governo, padronato e sindacati furono unanimi, in Ticino, a volere un lockdown per diverse settimane, perfino contro il parere delle Autorità federali.

Ci furono applausi dai balconi per il personale del settore sanitario, sottoposto a stress e a turni massacranti di lavoro. Fioccarono riconoscimenti, un po’ da tutte le parti. Anche per lo Stato e il servizio pubblico. Si diffuse la speranza che, passata la pandemia, più nulla sarebbe stato come prima. Che una maggiore attenzione sarebbe stata accordata alla socialità, alla sanità, ad un modo di vita più equilibrato. Che il potere dei gruppi finanziari fosse ridimensionato, che la politica neoliberale fosse al tramonto. Poi, dopo un’estate a briglie sciolte, come era facilmente prevedibile, arrivò la seconda ondata. Le misure di protezione si fecero attendere, i messaggi furono spesso contraddittori, gli esperti meno ascoltati. Gli aspetti economici presero il sopravvento. Il numero dei decessi fu elevato, superiore a molti altri Paesi. Esplosero i problemi sociali. Disoccupazione, sottooccupazione, perdite salariali, precarietà, aumento della povertà. 700’000 persone in Svizzera vivono sotto il minimo vitale. Chi ha dovuto rimanere a casa, ha visto il suo stipendio decurtato del 20%. Il personale sanitario fu spesso costretto a lavorare, anche se ammalato di coronavirus.

Daniel Ritzer, direttore de ‘laRegione’, ha messo in luce le preoccupanti affermazioni di Christian Vitta, direttore dell’economia e delle finanze. Secondo Vitta, la priorità dell’intervento statale deve rimanere il riequilibrio dei conti pubblici. E annuncia quindi 15 anni di misure di risparmio, “per ricuperare quanto speso per lottare contro il Covid-19”. Come altri lo hanno sottolineato in questi giorni, Vitta finge di non sapere che la spesa per il Covid è tutto sommata limitata, soprattutto se si considera la solidità delle finanze cantonali e la possibilità di accedere a crediti quasi a costo zero. Le contraddizioni tra le promesse fatte e le decisioni sono evidenti.

Ed è triste constatare la sottovalutazione dei problemi sanitari e sociali. Il governo ha perfino bocciato un modesto aumento degli stipendi del personale sanitario. L’Ubs ha annunciato un utile di oltre sei miliardi di franchi, nel 2020, l’anno della pandemia. Nel frattempo chiude 44 filiali! Naturalmente non potevano mancare gli scandali, come l’acquisto di mascherine taroccate da parte dell’esercito, i prezzi dei vaccini, i cui costi di produzione sembrano essere inferiori a un dollaro a dose, mentre il Moderna, ad esempio, viene venduto a 18 dollari. La pandemia sta creando nuovi ricchi. L’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) avrebbe la facoltà di decretare la decadenza dei brevetti. In questo caso tutte le industrie farmaceutiche potrebbero produrre il vaccino. Invece di costoso e numericamente insufficiente, sarebbe possibile ottenerlo a buon mercato e in abbondanza. Anche i Paesi poveri non dovrebbero aspettare, chissà fino a quando. Il nostro Paese ospita le sedi dell’Omc e della Croce Rossa.

Potrebbe quindi assumere un ruolo attivo in questo campo. Invece, sembra avere altre priorità. Infatti, non ha trovato nulla di meglio, poche settimane fa, di proporre una nuova incomprensibile privatizzazione, quella di Postfinance. Prima gli affari. Sempre. La speranza di un mondo diverso, sembra scontrarsi con governi incapaci di cambiare rotta.