Per l’integrazione socioprofessionale degli invalidi

Da: Roberto Martinotti presidente VPOD Ticino

Noi educatori avevamo quale primo e vero obiettivo l’integrazione professionale degli utenti che lavoravano e lavorano tuttora all’interno delle varie strutture sociali ticinesi.

Noi educatori eravamo spronati dai nostri ideali di uguaglianza per trovare i mezzi, le strategie per far conoscere le nostre realtà istituzionali e soprattutto per far conoscere le potenzialità dei nostri utenti: lo scopo era di trovare possibili datori di lavoro o possibili veicoli integrativi nel tessuto della nostra società per quell’utenza che in noi vedeva dei professionisti dell’integrazione.

Eravamo degli utopici, dei sognatori, ma eravamo dei veri educatori che nella Legge sull’integrazione sociale e professionale degli invalidi (LISPI), in vigore dal 1979, leggevano le basi legali per iniziare un vero discorso volto ad integrare tutti gli utenti che, nel tempo, avevano sviluppato delle competenze.

Con l’introduzione dei contratti di prestazione mi sembra che si sia chiusa nel cassetto la LISPI e al suo posto si sia introdotta la legge dell’economia, più mirata alla gestione manageriale dell’invalido che alla gestione umana dell’individuo: il concetto d’integrazione sembra cozzare con la pressante burocratizzazione del lavoro empatico dell’operatore sociale.

È vero che la LISPI è stata adeguata al tempo, alla società, alle necessità di presa a carico di nuove patologie e di nuova utenza, ma, a mio modo di vedere, noi operatori sociali non possiamo dimenticare il vero ruolo che ci è stato dato, ossia quello di lavorare in empatia, in relazione costante con la nostra utenza e sempre con un occhi attento alla loro integrazione lavorativa e sociale.

In una presentazione che mi è capitata in mano negli scorsi giorni leggo: “Gli Istituti garantiscono ai propri utenti uno sforzo continuo per favorire le possibilità di integrazione sociale e professionale al di fuori dell’Istituto”. Un concetto che oggi rischia di rimanere solo sulla carta, perché non sento più dalle istituzioni una forte spinta a lavorare in questa direzione e la voglia di dare all’educatore le competenze e lo spazio per poter lavorare per l’integrazione dei propri utenti. Vedo solo, al contrario, l’obbligo e la spinta, anche da parte dell’ente sussidiante, a compilare tabelle, a riempire formulari e nuovi documenti finalizzati alla garanzia della qualità manageriale ma non alla qualità del nostro lavoro educativo e integrativo.

L’ente sussidiante dovrebbe nuovamente ascoltare i veri bisogni dei nostri utenti, uscendo dai concetti unici di gestione manageriale e ricordarsi nuovamente che dietro ad un nome scritto in corsivo su una bella tabella ci sono delle persone bisognose di ascolto e di un vero aiuto per trovare un posto nella nostra società. Attraverso la LISPI aiutiamo nuovamente l’integrazione e non imbrigliamo il lavoro di chi opera in questa direzione con una burocratizzazione puramente alienante e solamente fine a sé stessa!